“Pas de problème” ci veniva risposto alle nostre domande sulla situazione al confine tra il Niger e l’Algeria, questa frase mi rimarrà in mente  per sempre, come le nostre facce luride che si guardavano a vicenda, gli occhi persi e la mente in stato confusionale alla fine del nostro  viaggio. L’Africa è anche questo, un paese bellissimo ma pieno di contraddizioni, dove sembra che nessuno faccia niente per migliorare la  situazione, gli uomini tutti seduti all’ombra, i bambini sorridenti che schiamazzano in giro giocando con i rifiuti, le donne che lavorano, sono  loro che tirano avanti la famiglia, c’est l’Afrique.  Io e Manu sono anni che viaggiamo insieme e anche questa  volta ci avventuriamo alla nostra maniera alla scoperta del  continente nero, che tanta gente attira e ne rimane stregata; è  il famoso mal d’Africa.   Di professione siamo due Vigili del Fuoco, questo lavoro  particolare ci aiuta nei nostri viaggi, siamo abituati ad  affrontare situazioni particolari e questo ci lega anche  all’UNICEF di cui siamo ambasciatori di buona volontà.  Come nei precedenti viaggi partiamo sempre dallo stesso  punto, Piazza IV Novembre, il centro storico di Perugia.  Questa volta a salutarci oltre ad autorità, parenti, amici e  colleghi, troviamo un gelido vento, oggi è la festa del patrono  e noi mangiamo tutti insieme il dolce tipico di questa  giornata. La nostra partenza questa volta è caratterizzata da  un fuori programma particolare, sono diventato zio durante la  notte, quindi deviamo verso l’ospedale per far visita al nuovo  arrivato. Il viaggio si svolge secondo il programma nella  prima parte, l’attraversamento dell’Europa è caratterizzato  solamente dal maltempo che rallenta la nostra tabella di marcia, la neve ci ha dapprima gelato poi impaurito quando ricopriva il manto  stradale facendoci procedere con i piedi a terra a marce basse. Il sole ci ha accolto con lo sbarco in Africa, anche se poi è diventato fastidioso  quando le temperature si sono avvicinate ai 40°, il vento lungo il Western Sahara ci ha costretto a viaggiare inclinati per diversi giorni in  questa desolata pianura senza nulla da fotografare. La sabbia trasportata dal vento ti s’infila ovunque, nella gola negli occhi e per finire  anche dentro l’abbigliamento intimo, la sera quando ti spogli la vedi cadere sul pavimento per ricordarti dove ti trovi. Con grande fatica  arriviamo a Dakar puntuali agli appuntamenti prefissati dall’Italia, ovvero l’incontro con i rappresentanti dell’UNICEF che ci illustrano i  progetti a cui stanno lavorando, la non facile situazione economica e politica della zona non aiuta e si avanza a fatica nei risultati, ma la  perseveranza di queste persone è da ammirare. Ora tocca all’altro appuntamento fisso dei nostri viaggi, i pompieri, durante la visita presso la  centrale dei Vigili del Fuoco veniamo accolti dalle massime autorità dei colleghi senegalesi, ci  illustrano i loro metodi di formazione del personale, le attrezzature, i mezzi ed infine la loro  sede. Ogni volta mi rendo conto che questo lavoro è uguale in tutto il mondo, e questo ci fa  entrare subito in sintonia nonostante le difficoltà linguistiche. Spero di poter dare un seguito a  questo incontro, iniziando una collaborazione per lo scambio di formazione e attrezzature. Prima  di lasciare Dakar non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di fare un salto al Lac Ros, per  anni arrivo della mitica Parigi - Dakar, oggi è rimasto un posto desolato, se si è fortunati si  possono ammirare i fenicotteri, o sfortunati come noi che non abbiamo trovato neanche la  colorazione rosa, che varia con le stagioni ed il meteo. Dopo questa delusione ci avviamo verso il  Mali, il cambio di paesaggio è netto, la natura sembra sapere dove si trovi il confine, comincia a  rivedersi il verde, la terra cambia colore, diventa rossiccia. Presso la capitale Bamako  completiamo la documentazione per entrare in Algeria con molte difficoltà, avevamo perso le  speranze di ottenere il visto, e proprio per organizzare il rientro ci siamo procurati un nuovo visto  mauritano a Dakar. Inoltre otteniamo un visto per il Burkina Faso, in caso ci fossero difficoltà  per entrare in Niger da nord, passeremo da sud. Oramai abbiamo imparato a muoverci nella  burocrazia africana e tutto avviene con semplicità e velocità, saltando da un taxi all’altro per  raggiungere ambasciate e consolati. Ci spostiamo nella zona di Markala, lungo il fiume Niger,  dove opera l’associazione Baobab di Perugia, attraverso vari progetti da oltre 10 anni, ne hanno  fatta di strada, e con loro la popolazione locale. Qui parcheggiamo le moto e attraverso dei mezzi  andiamo ad acquistare del materiale per il proseguimento dell’anno scolastico, grazie ai  contributi degli sponsor, oltre ad avviare altri progetti inerenti al sostegno scolastico, i medicinali  e la potabilizzazione dell’acqua. Questo per noi è l’obbiettivo più importante, una delle  componenti fondamentali dei nostri viaggi è la solidarietà, quello che riusciamo a fare è il segno  tangibile che anche il poco conta e serve. L’accoglienza da parte dei bambini e gli abitanti dei  villaggi è di quelle che non si dimenticano, numerose sono le feste organizzate in nostro onore, è  il loro modo di ringraziarci, con canti e balli locali, questo ci permette di mescolarci a loro e  conoscere da vicino le usanze locali. I sorrisi ricevuti, le strette di mano e gli abbracci ripagano  di tutta la fatica per organizzare il viaggio e la raccolta fondi, ora il ritorno sarà allietato da  queste immagini che riempiono la mente e l’anima. Dopo tanta gioia iniziano le preoccupazioni,  le notizie che arrivano dalla zona di Timbuctu, sono peggiorate, la situazione non è tranquilla un  nuovo rapimento ha rimesso in discussione la stabilità e per questo decidiamo di invertire la rotta  verso sud, entrando in Niger attraverso il Burkina Faso. Qui ci ritroviamo con dei giorni di  vantaggio rispetto al programma, il nostro visto per il Niger è valido dalla prossima settimana, un  grazioso hotel con piscina e bungalow a Banfora diventa la nostra base, ci organizziamo per effettuare delle escursioni. Visitiamo delle  cascate, che troviamo asciutte in quanto siamo nella stagione secca, dopo questa delusione ci rifacciamo gli occhi con gli ippopotami, grazie  ad una piroga riusciamo a raggiungere una comunità composta da circa trentacinque esemplari, che soggiornano indisturbati in un lago,  troviamo difficoltà al rientro in quanto imbarchiamo acqua! La sera torniamo stanchi ma soddisfatti nel nostro piccolo paradiso con piscina e  birra fresca che ci fanno dimenticare la calura e le fatiche della giornata. Qui tramite internet cominciano ad arrivare le prime notizie sulla  situazione libica, non gli diamo peso più di tanto e speriamo che si risolva tutto come in Tunisia o Egitto, quindi andiamo avanti  tranquillamente con il nostro itinerario, che prevede di spostarsi verso una riserva per osservare gli elefanti. Attraverso delle lunghe piste  sterrate ci addentriamo nel cuore della verde Burkina Faso, piste abbastanza facili, richiedono di sgonfiare i pneumatici e guidare in piedi  sulle pedane, una goduria motociclistica. Ci siamo scordati che l’Africa cambia volto in un attimo, improvvisamente la strada peggiora,  chiediamo informazioni all’ingresso della riserva e ci tranquillizzano con “pas de problème”, mancano 35 km ai bungalow che si trovano al  loro interno ed in un’oretta saremo li, facciamo i conti con la luce rimasta prima del tramonto e ci inoltriamo. Non l’avessimo mai fatto, la  pista peggiora metro dopo metro, ci ritroviamo in banchi di sabbia che inghiottono le ruote, le nostre moto avanzano a fatica, ci dobbiamo  spingere a vicenda durante un paio di passaggi ostici. Le buche diventano voragini che mandano a fine corsa le sospensioni, arriva il buio e  abbiamo percorso solamente una quindicina di km. Ora diventa ancora più difficile, possiamo solamente andare avanti, a moto spente cala  un silenzio inquietante. Piano piano avanziamo, ogni metro è una conquista, e quando appaiono le luci del villaggio ci sentiamo salvi dopo  tre ore massacranti e solamente un paio cadute, certo quella di Manu nei pressi delle acque infestate dai coccodrilli poteva essere fatale……  Festeggiamo con due birre, neanche il tempo di cenare che si chiudono gli occhi, qui tutto sembra avere dei ritmi infernali, sveglia all’alba  per saltare sul portapacchi di una jeep per ammirare gli  animali all’interno della riserva, elefanti, antilopi, babbuini  ci osservano, noi siamo gli invasori del loro territorio.  Dopo essere stati sballottati facciamo rientro nel piccolo  villaggio e qui con grande sorpresa un branco di elefanti di  oltre 10 esemplari passa tranquillamente tra i bungalow per  arrivare ad un laghetto. Li s’immergono e giocano  tranquillamente ad una trentina di metri di noi, i babbuini  se ne stanno sulle piante qui intorno a mangiare, a saperlo  evitavamo l’alzataccia e la faticata. Al ritorno su questa  specie di pista le cose vanno meglio, sarà che siamo  freschi, sarà la luce del giorno ma ne veniamo fuori  benissimo, oppure ci stiamo abituando. Finalmente  possiamo entrare in Niger, in frontiera nessuno ci apre le  valige, siamo alla sesta, è bastato sempre scambiare  qualche parola, poi quando capiscono che siamo italiani si  ammorbidiscono, qui tutti hanno qualcuno nel nostro  paese, un parente o un amico, ma quanti saremo in Italia?  Arriviamo tranquillamente fino ad Agadez, la seconda  città dello stato, le informazioni raccolte lungo il percorso  sulla situazione al confine dalle autorità locali sono di  assoluta tranquillità, e quindi seguiamo l’itinerario senza  problemi. Lungo la strada principale veniamo fermati e  informati che verremo scortati da un convoglio armato di  città in città, ma non parte tutti i giorni, quindi per arrivare  al primo disponibile dobbiamo spararci una tappa di quelle  massacranti. Arriviamo in anticipo al luogo dove si forma  la carovana, tutti si devono sottoporre a questa ordinanza,  sia stranieri che i locali, mezzi privati e pubblici. Quindi  una variegata tipologia di mezzi si mette in colonna dietro  una jeep con un mitragliatore sul tetto, una manciata di militari aggrappati alle sponde con dei mitra, si parte tutti insieme e si arriva in  ordine sparso attraverso strade terribili che mettono a dura prova noi ed i mezzi, parecchi si fermano per strada rompendo di tutto, dal telaio  al motore. Il giorno successivo si parte di nuovo con lo stesso sistema con la variante che la strada peggiora ancora, finisce che ci ritroviamo  da soli in mezzo al nulla, alla faccia della sicurezza. Due giorni di fatica e tensione che vengono ripagati al nostro arrivo ad Arlit, l’ultima  città prima del confine algerino, con un soggiorno obbligato presso il locale commissariato di polizia per motivi di sicurezza. Dopo un  colloquio con il prefetto era stata organizzata una scorta personale per poterci far proseguire fino al confine, 200km di pista sabbiosa, poi da  Agadez è arrivato l’ordine di rispedirci indietro. La situazione si sta complicando, ogni nostro movimento avviene sotto la protezione della  polizia, anche per la semplice cena al ristorante è stata organizzata una scorta che ci segue fin dentro il locale, i mitra tenuti con la canna ad  altezza uomo hanno il colpo in canna. Non si può dire che mangiamo tranquilli, non ci gustiamo una specie di bistecca, ci sentiamo  osservati, solo la fame ci permette di mangiare a testa bassa. Appena finito facciamo rientro, e cerchiamo di capire cosa sta succedendo  intorno a noi. Ci spiegano che rimanevano scoperti i 12 km di terra di nessuno tra il Niger e l’Algeria, dove saremmo rimasti soli, in quella  striscia ci sono scorribande dei ribelli Tuareg, delle infiltrazioni di militanti di Al-Queida, inoltre la situazione stava precipitando a causa del  conflitto libico, i confini in quella zona erano difficili da tenere sotto controllo e la presenza di profughi complicava ulteriormente le cose,  non si capiva più chi erano i buoni o i cattivi. In vista di tutte queste notizie, l’autorità militare ci nega la scorta e siamo invitati, o meglio  costretti, al dietrofront fino alla capitale Niamey, dovendo ripercorrere le temibili strade dell’andata. Anche noi non saremmo stati tranquilli  nel proseguire, e per nessun posto al mondo vale la pena mettere a repentaglio la propria vita, oltre che quella di eventuali soccorritori nel  malaugurato caso che si presentasse un problema serio. Una volta giunti in luogo tranquillo organizziamo il nostro rientro, via terra  diventava lungo è complicato per la mancanza di tempo e permessi, quindi decidiamo di rientrare attraverso un volo aereo e le moto con un  volo cargo, il ricongiungimento avviene a Roma. Qui l’ultimo colpo di scena, quando andiamo a ritirare le moto nell’area cargo ci vengono  consegnate una sopra l’altra, quello che l’Africa non ha rotto ci ha pensato la compagnia aerea, le rimettiamo in sesto per poter partire alla  volta della nostra città, dove familiari, autorità, amici e colleghi ci attendono per festeggiarci.  Anche questa avventura è andata a buon fine, non abbiamo compiuto il giro prefissato, ma il nostro obbiettivo era incontrare i colleghi  senegalesi e seguire i progetti UNICEF da vicino, ma quello più importante erano i bambini delle scuole di Markala, i loro sorrisi e abbracci  hanno ripagato la nostra fatica e dato un senso alla nostra delusione. 
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Due pompieri al tropico