La terra santa è stata sempre contesa da popoli e religioni diverse, ognuno rivendicandone la paternità e addirittura la promessa secondo una sacra  scrittura. Ma che cosa è la terra santa? Sono pochi km/q di terra in Medio Oriente con un significato spirituale per ebrei, cristiani e mussulmani.  Gerusalemme da sempre è stata una città d’importanza storica e geopolitica, cristiani e mussulmani si sono alternati nella sua conquista con  battaglie sanguinose in nome della religione. Dall’Europa partirono 8 crociate per la conquista o la liberazione, a seconda dei casi. La nostra  spedizione si chiama “Terra Santa 09”, dove il nove sta per l’anno e il numero della crociata, ma questa volta di pace. L’idea di questo viaggio è nata  dal progetto della “Marcia della Pace”, manifestazione annuale che parte da Perugia e termina ad Assisi. Quest’anno si sarebbe svolta a Betlemme a  livello mondiale, noi avremmo portato la bandiera come dei tedofori alle olimpiadi. La nostra proposta è stata accettata volentieri, come Vigili del  Fuoco siamo imparziali, la nostra figura in un equilibrio delicato come la Palestina non incute timori. Io ed Emanuele facciamo già coppia da diversi  viaggi, l’ultima nostra avventura è stata la “Perugia-Pechino in motorino”, un compagno  fidato è la base di tutto. Ne approfitteremo anche per visitare l’UNICEF e il suo progetto  “I bambini di Gaza”. I preparativi fervono, i giorni scorrono, e cosi ci ritroviamo il 1°  Ottobre in Piazza IV Novembre a Perugia, dove autorità, amici, colleghi e parenti ci  salutano. Abbiamo davanti a noi un mese di viaggio e 13000km da percorrere e come  sempre siamo in ritardo. Lasciamo in Italia il bel tempo e dopo due giorni sotto l’acqua  ci ritroviamo a gironzolare nella ex Jugoslavia, visitando il sacro e il profano, dal  silenzio della Madonna di  Medjugorje al frastuono dei pub di Mostar. Intorno a noi si  vedono i segni di un conflitto ancora troppo recente per essere dimenticato, la gente vuol  ricominciare a vivere ma queste cicatrici portano turismo e non possono essere  cancellate. Bosnia, Montenegro, Albania, Kosovo, Serbia, Macedonia, scorrono sotto le  nostre ruote, nelle soste riceviamo il calore delle gente verso gli italiani. Il maltempo ha  flagellato questa prima parte del viaggio, ritroviamo il sole nella porta d’oriente. Ora  puntiamo a sud con lunghe tappe, la voglia di arrivare è tanta, non dobbiamo mancare  l’appuntamento del 10 Ottobre a Betlemme. Cerchiamo di guadagnare un margine  tempo che ci consenta di risolvere i problemi che dovremo affrontare per entrare in  Israele. La prima vera frontiera è la Siria, non è chiara la cifra da pagare tra  assicurazione e dogana, ci vengono estorti 110$ a testa, con ricevute incomprensibili, ci  potrebbe essere scritto anche solamente grazie. Sul becco della mia BMW fa bella  mostra una “pompiera” in bikini, prima di partire la volevo mascherare per non creare  malintesi con qualche mussulmano integralista, ma già al primo controllo riscuote un  successone, una bella donna è sempre apprezzata, anche se finta. Tutti la guardano,  l’accarezzano, si radunano intorno e si scordano dei bagagli, due chiacchiere sul calcio  ed è fatta. Decidiamo di concederci un giorno di riposo e di turismo ad Aleppo,  soggiorniamo presso l’hotel Baron. Qui Agata Christie scrisse “Omicidio sull’ Orient  Express”, Lawrence D’Arabia vi soggiornava spesso. In questo storico albergo sono  passati tanti turisti, anche solo per bere qualcosa nell’unico american bar che esisteva  nel Medio Oriente, ora sta andando in decadenza, e si beve ovunque. Dopo esserci  ricaricati è ora di affrontare i temuti controlli israeliani, oltre la delicata faccenda del  timbro. Strana storia quella del timbro, una volta apposto sul passaporto non si può  tornare indietro via terra, perché la Siria e altri paesi arabi rifiutano l’ingresso a chi  visita Israele. La Siria è l’unico modo per ritornare indietro, quindi se veniamo  “marchiati” bisogna studiare un'altra soluzione. L’uscita dalla Giordania in certi valichi,  equivale al timbro israeliano, quindi dobbiamo evitare anche il timbro in uscita dei  giordani. Il passaggio siriano-giordano è semplice, poco oltre ne approfittiamo per  visitare un castello dei cavalieri e le sue leggende. La sera ci posizioniamo nel ultimo  paese prima della frontiera israeliana, li affronteremo nella mattinata del venerdì, visto  che per loro è festa e chiudono il pomeriggio, speriamo che abbiano fretta a sveltire le  pratiche. I giordani non si oppongono alla richiesta di non apporre nessun segno della  nostra uscita dal paese. Appena capitiamo a tiro degli israeliani il clima diventa  diffidente, le armi puntate, numerose domande sul perché siamo lì, ed infine i controlli.  Bisogna precisare che ci sono i militari che rilasciano il visto e addetti alla sicurezza  civili che effettuano i controlli. Con i primi, che sono ragazzi come noi, ci sono state  delle domande e risposte inerenti al viaggio, alle moto, insomma un abbozzo di discorso  nonostante le difficoltà linguistiche. Con gli addetti alla sicurezza, poco più che  adolescenti e per di più tutte donne, il comportamento è stato l’opposto. Domande da  interrogatorio, ci intimavano di stare fermi lontano dalle moto e in determinate  posizioni, si percepiva ostilità nei nostri confronti. I nostri bagagli sono stati aperti, il  contenuto gettato in terra per poi ordinarci di raccoglierlo con delle ceste di plastica,  caricare il tutto su dei carrelli stile aeroporto ed entrare in un fabbricato. Li tutto e stato  di nuovo aperto e passato sotto i raggi X, noi compresi. Le nostre moto sono state  prelevate e chiuse in un garage, cosa gli sia stato fatto di preciso non lo sapremo mai. Di  sicuro sono state smontate, ci sono segni sulle viti che erano sporche dal viaggio, la mia  è stata fatta cadere, anche qui i segni dimostrano che si è appoggiata a sinistra. Abbiamo  lasciato correre tutto e ci siamo concentrati sulla questione del timbro, dopo le  spiegazioni e una lunga contrattazione li abbiamo convinti, la difficoltà era per i mezzi e  non la persona fisica. Certo il biglietto da visita di questo paese non è dei migliori, ma  come successo in altre occasioni bisogna approfondire prima di giudicare, ma questa situazione mi ha allontanato da loro. Qui troviamo Roberto ad  attenderci, un amico motociclista che presta servizio presso la nostra ambasciata a Tel-Aviv. Grazie alla sua conoscenza del posto riusciamo a  trascorrere quattro meravigliosi giorni, a sempre una risposta pronta alle nostre domande, questo ci aiuta molto a comprendere la difficile situazione  in atto. Siamo anche fortunati, vedremo le tre differenti religioni nei tre giorni di festa, il venerdì per i mussulmani, il sabato per gli ebrei e la  domenica per i cristiani. Questo ci mostra le sfaccettature di questo mix di religioni, usi e costumi, le tradizioni ed infine i sapori delle diverse  cucine. Siamo arrivati ad uno degli appuntamenti del viaggio, la consegna della bandiera, a Betlemme troviamo 400 italiani ad accoglierci, il  sindaco, il console italiano ecc. Ma soprattutto i palestinesi, che ci accolgono con calore, i bambini che non la smettono di mettersi in posa per le  foto sopra la moto, qui grazie alla presenza dei religiosi parlano tutti italiano e ci permette di imbastire discorsi sulla loro difficile situazione. Dopo  la consegna dei doni defiliamo l’invito alla cena ufficiale in un albergo, preferiamo andare a mangiare il pesce in un localino sul mare, vogliamo  rimanere nei panni dei viaggiatori. Il giorno seguente abbiamo la visita ai colleghi palestinesi, un altro incontro emozionante e significativo, la loro  caserma è stata costruita dal nostro governo e si sentono legati a noi italiani. Potete immaginare l’accoglienza, rimarranno per sempre nella mia  mente i loro occhi, gli abbracci e le parole. Ci congediamo da loro con la promessa di dare un seguito a questo pomeriggio e l’invitiamo in Italia per  potergli permettere di fare esperienze professionali diverse e procurargli materiale nuovo, naturalmente tutto a spese nostre. La sera mangiamo un  ottimo agnello ai piedi di quel vergognoso muro, lungo 600km e alto 8mt, che racchiude questo popolo come fossero degli animali. Anche in  Europa fu fatto una mostruosità del genere, speriamo che anche questo faccia la stessa fine. Il lunedì è il nostro ultimo giorno in zona, siamo attesi  presso la sede UNICEF, era prevista una visita a Gaza ma ci sono stati rifiutati i permessi, ovvero potevamo entrare se uscivano due operatori, non  ce la siamo sentiti di metterli in difficoltà. La responsabile ci illustra il lavoro che stanno svolgendo, sono contento che i soldi che abbiamo raccolto  in Italia stiano fruttando. Da quando sono padre guardo i bambini in modo differente, penso alla mia che sta a casa senza problemi. Noto dei  particolari che mi fanno riflettere, hanno delle macchine blindate e i giubbotti antiproiettili con la scritta UNICEF, segno che non sono tranquilli. Il  sindaco di Ramallah ci vorrebbe incontrare, veniamo accompagnati a bordo di una di quelle grandi jeep bianche che si vedono in TV, dicono che è  per la nostra sicurezza. Finito questo calendario di appuntamenti ci sentiamo di nuovo liberi, puntiamo verso il Mar Morto. Il caldo è infernale, oltre  40°, sono 8 mesi che non piove, però la natura ci ripaga con paesaggi mozzafiato. Naturalmente proviamo la sensazione strana del bagno nella  depressione più profonda della terra, quella di galleggiare anche da seduti. Per arrivarci scendiamo a -394 attraverso una lingua di asfalto bollente,  interrotta da numerosi complessi alberghieri per ricchi vacanzieri. La sera mentre osserviamo il tramonto, uno stormo di caccia che sfrecciano a pelo  d’acqua ci ricorda dove siamo. Dopo l’entrata dobbiamo risolvere l’uscita, abbiamo ancora questo pensiero che non ci lascia tranquilli. Quando  siamo in fondo al paese è buio, dall’altra parte del limpido Mar Rosso si vedono le luci di Aqaba, ma gli israeliano ci impediscono di arrivarci. Alla  frontiera veniamo respinti, dicono che è vietato l’ingresso in Giordania con le moto e ci invitano a tornare con un permesso speciale l’indomani.  Tentiamo anche di uscire verso il Sinai, ma non ci assicurano che possiamo entrare in Giordania, una volta passati rischiamo di dover andare fino ad  Alexandria e imbarcare le moto. La mattina successiva cominciano le telefonate verso le varie ambasciate alla ricerca di questo permesso, i giordani  ci negano il foglio nonostante abbiamo già lo sdoganamento della moto e l’assicurazione. Per gli israeliani possiamo uscire solamente da questo  varco, la situazione si sta complicando. La nostra ambasciata non sa neanche di che cosa parliamo, quindi dopo aver sprecato tempo e denaro  torniamo alla carica. La prima ragazza rincomincia la cantilena di ieri, chiediamo di vedere il suo superiore e siamo accontentati. Ci spiega che loro  non possono far passare chi non ha il permesso, noi replichiamo che è nostro diritto poter uscire dal paese e quando saremo stati fuori quello che  avremmo fatto non lo riguardava. Ci lasciano passare, qualche volta alzare la voce paga, non si può sempre subire. I giordani si mostrano stupiti  quando ci vedono arrivare, insistiamo che abbiamo tutti i documenti richiesti al momento del nostro ingresso a nord, e non capiamo la differenza  con il sud. Abbiamo faticato a convincerli, non ci mettono neanche il timbro d’ingresso, agli occhi dei siriani non siamo mai usciti dalla Giordania, è  andata bene. Da qui in poi siamo più rilassati, non abbiamo più il problema del ritorno, la burocrazia uccide lo spirito del viaggiatore. Ci dirigiamo  verso le famose località turistiche, Wadi Rum per cominciare, qui dopo un’escursione in jeep passiamo una nottata all’aperto, dormiamo in cima a  una duna con il sacco a pelo. Ci aspetta un altro classico della Giordania, Petra, dove orde di turisti vengono scaricate dai bus, bella ma non è  possibile fermarsi e godersi lo spettacolo di questa gola. I carretti trainati dai cavalli trasportano i più svogliati dal parcheggio fino in fondo al sito.  Lasciamo questo posto per tornare nel nostro luogo preferito, la strada. Qui incontriamo il popolo, quello vero, quello che ti invita a casa, ti offre da  bere e da mangiare, non ti avvicinano per un secondo scopo come succede nei posti famosi. Rientriamo in Siria senza problemi, unico appunto la  cifra da pagare, diversa da quella che dovrebbe essere, inutili le proteste, ci propongono l’alternativa di tornare indietro. Come al solito non  rispettiamo il tragitto prefissato e proviamo ad entrare in Libano. Nonostante le notizie contrastanti sulle procedure e i documenti necessari  varchiamo la frontiera in circa due ore pagando 35€ di assicurazione e circa 20€ di tasse varie. E’ la quarta polizza che stipuliamo dalla nostra  partenza, Kosovo, Siria, Giordania e infine Libano, abbiamo saltato quella albanese, nessuno ci ha chiesto nulla. Beirut e Tripoli non offrono niente  di bello, ma basta inoltrarsi nell’interno e salire nella valle dei cedri e lo scenario cambia. Una nota di rilievo nel pernotto alla periferia di Tripoli  assistiamo ad un matrimonio e sopportiamo la musica infernale fino alle 3 di mattina. Ci attende di nuovo la frontiera siriana, altro ingresso altra  cifra, ci viene spiegato che a secondo dove si entra la richiesta è differente, varia da nord, centro, sud. Ora traversiamo da ovest a est in direzione  Palmiria, anche qui ci attende la solita confusione, ma se torni a casa e non visiti questi posti vieni rimproverato. Entriamo in Turchia, a est nella  zona chiamata Kurdistan, i turchi ci dicono che il Kurdistan non esiste, è solo nella nostra testa. Sarà anche cosi, ma la presenza militare si è fatta  intensa e attenta, veniamo fermati spesso per un controllo documenti. Mentre percorriamo una strada in mezzo ai monti in direzione del lago di Van,  ad uno dei soliti posti di blocco ci viene intimato di seguirli in caserma, le moto rimangono lì e noi ci avviamo verso la cima della collina dove si  trova il comando. Durante il percorso a piedi cominciamo riflettere sul da farsi, sicuramente siamo finiti in una zona vietata e verremo rimandati  indietro.  Ci troviamo davanti un pergolato di cannine, sotto un divano che gira intorno ad un grande tavolo, in un angolo si trova il giovane  comandante che ci invita a sedersi. Accanto a lui ci sono altri giovani viaggiatori, fermati come noi, loro sono con una macchina a noleggio,  vengono dall’Australia, Francia e Canada. Ci viene offerta dell’ottima frutta fresca e del the, veniamo trattati come dei signori. Il capitano ferma  tutti i stranieri che passano di lì per parlare, gli piace esercitare il suo inglese e fare nuove amicizie, noi siamo l’unico diversivo a questa vita  monotona che dura da mesi. Passiamo due piacevoli ore, lui ci mette a nostro agio e parliamo di tutto, anche dei curdi. Non ci lascia andare senza  averci preparato un sacchetto con della frutta per proseguire il viaggio. Dopo aver costeggiato il lago deviamo ad est verso il monte Ararat,  l’obbiettivo è l’arca di Noè. Da questo punto il confine con l’Iran dista 20km, casa oltre 4000, è ore di puntare le ruote in direzione di essa. Durante  il ritorno non possiamo mancare una visita al Nemrut Dagi, quella che viene definita l’ottava meraviglia del mondo, in tanti si fregiano di questo  titolo. La strada è veramente pessima, km di sterrato malmesso, buche pronte ad inghiottire l’anteriore, come se non bastasse al buio e dopo che  aveva piovuto. Finalmente delle luci, era nostra intenzione arrivare per il tramonto ma siamo in evidente ritardo, ci toccherà un alzataccia all’alba.  Assonnati ci avviamo ancora al buio verso la cima, negli ultimi km la strada peggiora, le ruote scartano io mi pianto in una curva in salita perdo  l’equilibrio e la moto si corica su di un lato. Perché alzarsi alle 5 di mattina per arrivare quassù, rischiare di rompere la moto o forare su queste  pietre aguzze? La risposta arriva quando comincia a sorgere il sole, lo spettacolo che ci si presenta davanti è unico, i colori e la visuale incantano. Le  sospensioni originali mostrano i loro limiti, il mio ammortizzatore posteriore sottoposto a un gravoso lavoro mi abbandona, perde olio, a Manu  esplode un paraolio della forcella, il cerchione anteriore mostra i segni delle grandi buche attraversate. Il nostro nuovo obbiettivo è la Cappadocia,  andremo in un albergo nella roccia dove sono stato nel precedente viaggio del 2003. Durante il tragitto veniamo fermati dalla Trafik Police, ci viene  contestato un eccesso di velocità senza mostraci nessuna foto o filmato, neanche viene trascritta sul verbale da 265£ turche (130€) che ci viene  rilasciato. Ci sono dei lavori in corso per entrare nell’albergo “1001 nuit”, una salita di sabbia mossa mi si presenta davanti. Mi preparo per  affrontarla e parto, la moto scodinzola, l’anteriore affonda fino a che non la controllo più e l’appoggio di nuovo. Passeremo due giorni da turisti, con  varie escursioni nella zona, dalle città sotterranee ai camini delle fate. La mattina nel lasciare il paese un simpatico signore mi attraversa a pochi  metri, per evitarlo cado rompendo un paramani e lacerando una borsa, anche il mio ginocchio subisce una rotazione strana, una fitta mi impedisce  inveire contro il pedone distratto. Tre cadute in tre giorni, una buona media, fortunatamente senza danni e ferite. Una volta giunti sulla costa  mediterranea visiteremo Efeso e le sue meravigliose rovine. Da qui proseguiremo  verso nord attraversando lo stretto dei Dardanelli, mezz’ora di  navigazione e siamo in Europa. Usciamo dalla Turchia attraverso la Grecia, poi di nuovo Bulgaria, Serbia, Croazia e Slovenia. Il cartello Italia fa  sempre una certa impressione, casa è sempre casa. A Perugia ci aspettano per una piccola festa, nello stesso punto dove ci avevano salutato  ritroviamo le stesse persone. E’ passato un mese, alcune volte in fretta, altre sembrava non arrivare mai la fine. Tutto sembra rimasto come l’avevo  lasciato, solamente che sono tornato più ricco dentro. Ora mi ritengo ancora più fortunato, ho visto la Siria, un paese devastato da una guerra civile  per la conquista della libertà, negata da un oppressore che uccide il suo stesso popolo. Una volta terminata cosa rimarrà di questa stupenda terra? 
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La mia idea sulla Terra Santa